È ben noto che la mafia, sebbene non con gli stessi atroci atti commessi pochi decenni fa, continui ad esistere e ad agire silenziosamente per mezzo di continui traffici illeciti di sostanze stupefacenti, di estorsioni e di molto altro, servendosi dell’omertà del popolo terrorizzato e dei governi corrotti o ciechi. Inoltre è facile intuire come i malavitosi preferiscano rivolgersi ai più fragili, ai più inesperti della vita, ai più influenzabili proprio perché ancora in fase acerba: ai giovani.
Di questo fenomeno ci ha voluto parlare il sacerdote Don Antonio Coluccia nel terzo appuntamento, tenutosi giovedì 17 Marzo, dei “Dialoghi Notturni”, serie di incontri organizzata dalla Parrocchia Spirito Santo del quartiere “S. Rita” di Lanciano, che vedono la chiesa confrontarsi, con ospiti mirati, su fedi diverse e questioni esistenziali che da secoli cercano risposte convincenti. L’ospite di questo “dialogo” ha una storia esemplare. Don Antonio Coluccia è il parroco della chiesa di San Basilio, quartiere della periferia nord-est di Roma, nel quale – secondo le parole dello stesso padre – “lo Stato non c’è e ai bisogni della popolazione risponde la malavita”. In questa zona la vita è dominata da estorsioni, da usura, da strozzini, da spaccio, da prostituzione e il sacerdote ci offre un quadro chiaro e impietosamente realistico della vita di quelle persone e di ciò che si trova ad affrontare ogni giorno. La sua testimonianza e la sua lotta si concentrano in particolare sulla preoccupante diffusione di droghe, “l’eucarestia di Satana” come dice Coluccia, tra i giovani ragazzi e su come queste prendono possesso delle loro vite, bruciandole fino all’osso.
A queste ingiustizie inaccettabili della vita egli risponde attraverso il dialogo con queste vittime, per tentare di recuperarle e salvarle, e numerose manifestazioni nel quartiere, per sensibilizzare la popolazione e prevenire la diffusione del fenomeno. Fondamentale in questa sua missione, è l’esempio di Gesù Cristo: “Egli ci ha lasciato grandissimi insegnamenti, prendere posizione e discernere bene e male è il più importante di questi. Non bisogna dimenticare poi di porgere sempre l’altra guancia, ma ciò non vuol dire assolutamente sottomettersi ai malavitosi, bensì evitare di rispondere con lo stesso loro mezzo della violenza” afferma don Antonio.
Questo suo compito è tanto nobile quanto rischioso, al punto che una serie di minacce nei suoi confronti l’hanno costretto a dover rinunciare al dono più grande, a ciò che propugna maggiormente: la libertà. Infatti, il sacerdote vive sotto scorta per evitare di essere aggredito da qualche mafioso malintenzionato e nel corso dell’incontro più volte si è soffermato a riflettere sulla sua condizione: “la mia vita è fatta di molta paura e spesso avverto la fatica della mia missione, ma trovo sempre energia nella preghiera e nella vita di Gesù: se lui ha subito tutte le pene che tutti conosciamo, io come sacerdote posso benissimo portare avanti il mio compito”. In quest’ambito don Antonio ha voluto anche trattare il tema del ruolo dello Stato italiano nella sua vicenda, affermando che questo per lui c’è e c’è sempre stato, anche se lo avrebbe preferito più prossimo. Nello specifico egli ha voluto far notare come molto debba ancora essere investito per prevenire la diffusione della droga e dello spaccio tra i giovani e non solo, in seguito, sulla loro repressione e come spesso egli sia stato rallentato dallo Stato: per problemi di finanziamenti, spesso le sue attività sono state realizzate solo a distanza di anni.
Al termine dell’incontro, il padre ci ha concesso qualche minuto in più per porgli qualche domanda e, vista la grande affinità che ho notato con un’altra figura di riferimento per la lotta contro la mafia, ho voluto chiedergli quanto fosse stato importante per lui l’esempio di Don Pino Puglisi. “È stato per me un punto di forza, un uomo che ha testimoniato con il suo martirio e che ha piantato un seme, colto da quelli come me” risponde Coluccia. Egli continua poi definendo il sacerdote siciliano semplicemente come “un uomo, un prete e un cittadino che ha fatto il suo dovere e che ha speso la vita in nome del Vangelo” e conclude lasciandoci con l’insegnamento che lo stesso padre Puglisi ha dato lui: farsi carico dei problemi dei ragazzi.